(7) Per facilitare un’applicazione più coerente delle sanzioni, in particolare in caso di infrazioni intra-UE, di infrazioni diffuse e di infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale quale definita nel regolamento (UE) 2017/2394, dovrebbero essere inclusi nelle direttive 93/13/CEE, 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE, criteri comuni non esaustivi e indicativi di applicazione delle sanzioni.
Tali criteri dovrebbero includere, per esempio, la natura, la gravità, l’entità e la durata dell’infrazione, e anche un’eventuale azione di riparazione proposta dal professionista al consumatore per il danno causato.
Le infrazioni reiterate da parte dello stesso soggetto dimostrano una propensione a commettere tali violazioni e sono pertanto un indice significativo della gravità del comportamento e di conseguenza dell’esigenza di aumentare il livello della sanzione per conseguire un reale effetto dissuasivo.
Qualora siano disponibili dati al riguardo, si dovrebbero prendere in considerazione i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate in virtù della violazione.
Si può inoltre tener conto di altri fattori aggravanti o attenuanti applicabili alle circostanze del caso.
- = -
(8) Tali criteri comuni, non esaustivi e indicativi di applicazione delle sanzioni potrebbero non essere rilevanti per tutte le infrazioni, e in particolare ai fini delle decisioni sanzionatorie riguardanti le infrazioni di lieve entità.
Gli Stati membri dovrebbero inoltre tenere conto di altri principi generali del diritto applicabili all’imposizione di sanzioni, come il principio ne bis in idem.
- = -
(13) Agli Stati membri non dovrebbe essere impedito di mantenere o introdurre nel loro diritto nazionale, per le infrazioni diffuse e per le infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale, sanzioni pecuniarie massime più elevate basate sul fatturato.
Gli Stati membri dovrebbero inoltre avere la possibilità di basare tali sanzioni pecuniarie sul fatturato del professionista a livello mondiale, o di estendere l’applicazione delle norme relative alle sanzioni pecuniarie ad altre infrazioni non contemplate dalle disposizioni della presente direttiva relative all’articolo 21 del regolamento (UE) 2017/2394.
Il requisito di stabilire la sanzione pecuniaria a un livello non inferiore al 4 % del fatturato annuale del professionista non si dovrebbe applicare alle norme aggiuntive degli Stati membri come penalità periodiche, come ammende giornaliere, per l’inosservanza di decisioni, ordinanze, misure provvisorie, impegni del professionista o altre misure con lo scopo di far cessare l’infrazione.
- = -
(14) Norme in materia di sanzioni dovrebbero essere introdotte nella direttiva 93/13/CEE al fine di rafforzarne l’effetto deterrente.
Gli Stati membri hanno piena facoltà di decisione in merito al procedimento amministrativo o giudiziario per l’applicazione di sanzioni in caso di violazioni delle disposizioni di tale direttiva.
In particolare, le autorità amministrative o gli organi giurisdizionali nazionali potrebbero irrogare sanzioni in sede di accertamento del carattere abusivo delle clausole contrattuali, anche in esito a procedimenti giudiziari avviati da un’autorità amministrativa.
Le sanzioni potrebbero essere irrogate anche dalle autorità amministrative o dagli organi giurisdizionali nazionali nei casi in cui il venditore o il fornitore ricorra a clausole contrattuali espressamente definite abusive in qualsiasi circostanza ai sensi del diritto nazionale, nonché nei casi in cui il venditore o il fornitore ricorra a clausole contrattuali che sono state giudicate abusive in esito a una decisione definitiva.
Gli Stati membri potrebbero decidere che anche le autorità amministrative abbiano titolo per stabilire il carattere abusivo di clausole contrattuali.
Anche le autorità amministrative o gli organi giurisdizionali nazionali potrebbero irrogare una sanzione mediante la stessa decisione che ha sancito il carattere abusivo di clausole contrattuali.
Gli Stati membri potrebbero definire gli opportuni meccanismi di coordinamento per eventuali azioni a livello nazionale riguardanti i rimedi individuali e le sanzioni.
- = -
(16) Gli Stati membri dovrebbero garantire la disponibilità di rimedi per i consumatori danneggiati da pratiche commerciali sleali per eliminare tutti gli effetti di tali pratiche scorrette.
L’adozione di un quadro ben preciso per i rimedi individuali faciliterebbe l’esecuzione a livello privato.
Il consumatore dovrebbe poter ottenere il risarcimento dei danni e, se pertinente, una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, in modo proporzionato ed efficace.
Agli Stati membri non dovrebbe essere impedito di mantenere o introdurre il diritto ad altri rimedi, come la riparazione o la sostituzione, per i consumatori danneggiati da pratiche commerciali sleali per garantire l’eliminazione totale degli effetti di tali pratiche.
Agli Stati membri non dovrebbe essere impedito di stabilire le condizioni per l’applicazione e gli effetti dei rimedi per i consumatori.
Nell’applicare tali rimedi si potrebbe tener conto, se del caso, della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito dal consumatore e di altre circostanze pertinenti, quali la condotta scorretta del professionista o l’inadempimento del contratto.
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(25) Ai fini delle direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE, i mercati online dovrebbero essere definiti in modo analogo a quanto previsto dal regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (11) e dalla direttiva (UE) 2016/1148 del Parlamento europeo e del Consiglio (12).
Tuttavia, la definizione di «mercati online» dovrebbe essere aggiornata e resa più neutra dal punto di vista tecnologico per poter contemplare le nuove tecnologie. È opportuno pertanto riferirsi, invece che a un «sito web», a un software, compresi siti web, parte di siti web o un’applicazione, gestito da o per conto di un professionista, conformemente alla nozione di «interfaccia online» di cui al regolamento (UE) 2017/2394 e al regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio (13).
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(30) Le definizioni di «contenuti digitali» e «servizi digitali» di cui alla direttiva 2011/83/UE dovrebbero essere allineate a quelle di cui alla direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio (15).
I contenuti digitali nella definizione della direttiva (UE) 2019/770 si riferiscono a una singola fornitura, a una serie di singole forniture o a una fornitura continuativa per un determinato periodo di tempo.
L’elemento della fornitura continuativa non dovrebbe necessariamente implicare una fornitura a lungo termine.
Casi quali la trasmissione in streaming di un video dovrebbero essere considerati una fornitura continuativa per un determinato periodo di tempo, a prescindere dall’effettiva durata del file audiovisivo.
Pertanto, può risultare difficile distinguere tra alcuni tipi di contenuti digitali e di servizi digitali, dato che entrambi possono comportare una fornitura continuativa da parte del professionista, per tutta la durata del contratto.
Esempi di servizi digitali sono i servizi di condivisione di file video e audio e altri tipi di file hosting, il trattamento testi o i giochi offerti nell’ambiente di cloud computing, l’archiviazione su cloud, la webmail, i media sociali e le applicazioni su cloud.
La continua implicazione del fornitore di servizi giustifica l’applicazione delle norme sul diritto di recesso previste dalla direttiva 2011/83/UE, che permettono effettivamente al consumatore di provare il servizio e di decidere, entro un periodo di 14 giorni dalla conclusione del contratto, se mantenerlo o no.
Numerosi contratti per la fornitura di servizi digitali mediante un supporto non materiale sono caratterizzati da una singola fornitura da parte del professionista per fornire al consumatore uno o più elementi specifici del contenuto digitale, come file musicali o video.
Tali contratti per la fornitura di servizi digitali mediante un supporto non materiale rimangono soggetti all’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera m), della direttiva 2011/83/UE che prevede che il consumatore perda tale diritto una volta cominciata l’esecuzione del contratto, come il download o lo streaming del contenuto, a condizione che il consumatore abbia dato il suo previo consenso espresso a iniziare l’esecuzione durante il periodo del diritto di recesso e abbia accettato che avrebbe così perso il suo diritto.
Qualora non sia chiaro se il contratto è un contratto di servizi o di fornitura di contenuti digitali forniti mediante un supporto non materiale, si dovrebbe applicare la norma sul diritto di recesso per i servizi.
- = -
(32) Dovrebbe inoltre essere garantita la coerenza fra l’ambito d’applicazione della direttiva 2011/83/UE e della direttiva (UE) 2019/770, che riguarda i contratti di fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali nell’ambito dei quali il consumatore fornisce o si impegna a fornire al professionista dati personali.
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(33) Pertanto, l’ambito d’applicazione della direttiva 2011/83/UE dovrebbe essere ampliato per contemplare anche i contratti nel cui ambito il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio digitale al consumatore, e il consumatore comunica o si impegna a comunicare dati personali.
Analogamente ai contratti per la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale, tale direttiva dovrebbe applicarsi ogniqualvolta il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista, eccetto nei casi in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale, e il professionista non tratti tali dati per nessun altro scopo.
Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere conforme al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (16).
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(35) La direttiva 2011/83/UE non dovrebbe poi applicarsi alle situazioni in cui il professionista raccoglie solo metadati, come informazioni sul dispositivo del consumatore o la cronologia del browser, tranne nel caso in cui tale situazione sia considerata come un contratto dal diritto nazionale.
La direttiva 2011/83/UE non dovrebbe neanche applicarsi alle situazioni in cui il consumatore, senza avere concluso un contratto con il professionista, è esposto a pubblicità solo allo scopo di ottenere l’accesso a un contenuto digitale o a un servizio digitale.
Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di estendere l’applicazione delle norme di tale direttiva a tali situazioni, o di regolamentare altrimenti situazioni di questo tipo escluse dall’ambito d’applicazione di detta direttiva.
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(43) L’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della direttiva 2011/83/UE dovrebbe ritenersi d’applicazione anche nel caso di contratti per consegne individuali di energia non di rete, poiché il prezzo di tale energia è legato a fluttuazioni nei mercati delle materie prime o nei mercati energetici che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso.
- = -
(52) Una tale pratica può pertanto essere considerata come contraria alla direttiva 2005/29/CE in base a una valutazione caso per caso degli elementi rilevanti.
Per facilitare l’applicazione del diritto dell’Unione esistente da parte delle autorità degli Stati membri preposte alla tutela dei consumatori e al controllo degli alimenti, la comunicazione della Commissione del 29 settembre 2017«sull’applicazione delle norme in materia di tutela degli alimenti e dei consumatori alle questioni di differenze di qualità dei prodotti — Il caso specifico degli alimenti» fornisce orientamenti sull’applicazione delle vigenti norme dell’Unione nelle situazioni di duplice livello di qualità negli alimenti.
In tale contesto, il Centro comune di ricerca della Commissione ha presentato, in data 25 aprile 2018, un «Quadro per la selezione e il controllo dei prodotti alimentari al fine di valutare le caratteristiche connesse alla qualità: Metodologia di prova armonizzata a livello UE».
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(54) Le vendite negoziate fuori dai locali commerciali costituiscono un canale legittimo e consolidato, come le vendite presso i locali commerciali del professionista e le vendite a distanza.
Tuttavia alcune pratiche commerciali o di vendita particolarmente aggressive o ingannevoli, nel contesto di visite presso l’abitazione del consumatore o in occasione di escursioni, come indicato all’articolo 2, paragrafo 8, della direttiva 2011/83/UE, possono mettere i consumatori sotto pressione inducendoli all’acquisto di beni o servizi che altrimenti non avrebbero comprato e/o all’acquisto a prezzi eccessivi, spesso con pagamento immediato.
Tali pratiche spesso prendono di mira persone anziane o altre categorie di consumatori vulnerabili.
Alcuni Stati membri, in cui tali pratiche sono indesiderate, ritengono necessario limitare alcuni aspetti e forme delle vendite fuori dai locali commerciali ai sensi della direttiva 2011/83/UE, come la commercializzazione o la vendita aggressiva o ingannevole di un prodotto nel contesto di visite non richieste presso l’abitazione del consumatore o di escursioni.
Se sono adottate per motivi diversi dalla tutela dei consumatori, per esempio a difesa dell’interesse pubblico o ai fini del rispetto della vita privata del consumatore, tutelata dall’articolo 7 della Carta, tali restrizioni non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2005/29/CE.
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(56) Con riguardo pratiche aggressive e ingannevoli attuate nel contesto di eventi organizzati in luoghi diversi dai locali del professionista, la direttiva 2005/29/CE non pregiudica le eventuali condizioni relative allo stabilimento o ai regimi di autorizzazione che gli Stati membri possono imporre ai professionisti.
Inoltre, tale direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale nazionale, in particolare delle norme sulla formazione, la validità o l’efficacia di un contratto.
Le pratiche aggressive e ingannevoli attuate nel contesto di eventi organizzati in luoghi diversi dai locali del professionista possono essere vietate sulla base di una valutazione caso per caso ai sensi degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva.
Inoltre, l’allegato I di tale direttiva introduce un divieto generale di pratiche attuate dal professionista per creare l’impressione che egli non agisca nel quadro della sua attività professionale, nonché di pratiche volte a creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali del professionista fino alla conclusione del contratto.
La Commissione dovrebbe valutare se le norme in vigore offrano un livello adeguato di tutela dei consumatori e forniscano agli Stati membri strumenti idonei per poter vietare efficacemente le suddette pratiche.
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